Non si tratta di un problema di età, ma solo di cessione del comando.
Stiamo parlando della staffetta tra padri e figli, un problema che nel contesto italiano attuale sta assumendo dimensioni tutt’altro che insignificanti, dal momento che la classe imprenditoriale, che tra la metà degli anni Cinquanta e la metà dei Settanta ha dato vita al tessuto industriale nazionale, si sta avviando alla conclusione fisiologica della propria esperienza lavorativa. Il fenomeno, che secondo alcune stime nel decennio 2000-2010 ha coinvolto il 50% delle imprese del paese, è aggravato dalla crisi in atto, che sta accelerando ogni dinamica aziendale in bilico tra la necessità di sopravvivenza e la ricerca di prospettive future.
Si tratta indubbiamente di una situazione delicata, che diventa addirittura critica in un tessuto industriale nazionale come quello italiano, costituito per il 98% da piccole imprese con una struttura organizzativa a marcata connotazione familiare, che rende meno praticabili soluzioni adottate per società di medie e grandi dimensioni. Il quadro attuale appare dunque particolarmente complesso, perché questa prima crisi dell’era della globalità ha messo a nudo i punti di forza e di debolezza delle aziende in un momento in cui il passaggio del testimone non si è spesso completato, e viene nel contempo richiesta una rapida ridefinizione della vision aziendale.
In fondo, il fine di ogni impresa è quello di trovare il punto di equilibrio, di stabilire regole che possano soddisfare contemporaneamente le esigenze dei singoli componenti della famiglia – che sono poi anche membri dell’impresa – e quelle del mercato in cui essa opera; ciò rafforza la struttura dell’impresa, favorisce un ambiente sereno ma anche capace di affrontare con determinazione il tessuto economico in continuo mutamento. Il nocciolo della questione – ne sono convinto – sta proprio qui: è necessario individuare dei punti di sovrapposizione tra le aspettative opposte di generazioni diverse.
Da un lato persistono l’esperienza, la gratificazione, il successo, la stabilità e la paura di perdere ciò che si è creato, mentre dall’altra prevalgono l’insoddisfazione, la voglia di cambiamento e di misurarsi.
Il problema della successione si complica ulteriormente perché, accanto alle relazioni interpersonali, altri fattori acquistano importanza: le reali esigenze dell’impresa, gli affetti, gli intrecci patrimoniali familiari e aziendali.
È una fase in cui gli interessi individuali dei membri della famiglia e dell’azienda vengono stabiliti in un gioco di reciproco adattamento, che può portare sia a gravi conflitti sia a una più forte sinergia tra questi componenti e ad una nuova forza vitale.
Molto spesso la delicatezza del tema porta a una sorta di rimozione del problema, talvolta al rinvio, o peggio – e questo accade nei due terzi dei casi di successione – a problemi seri quando non viene affrontato in modo adeguato e organico.
Le modalità di gestione del problema sul fronte tattico e pratico sono diverse, e spaziano da quelle societarie e fiscali a quelle legali, notarili, patrimoniali e assicurative, per non parlare di quelle psicologiche e comportamentali.
È opportuno tenere in considerazione tutti questi aspetti, perché non sono da sottovalutare i rischi concreti di cessazione dell’attività o comunque di profonda discontinuità di gestione – con inevitabili riflessi sul radicamento sociale e territoriale delle imprese – se i processi di trasmissione e di successione non vengono affrontati e pianificati in modo razionale, organico e tempestivo.
Voi che cosa ne pensate?
Marco Bedogni,
VP Confapi PMI di Reggio Emilia
e direttore commerciale di Bear Plast